Gli ultimi eventi di cronaca nera hanno fatto emergere, ancora una volta, come il modo di narrare le vicende possa essere determinante nella percezione di esse.
Centinaia di testate giornalistiche per descrivere una stupro, ad esempio, utilizzano il sostantivo “tragedia” e, ancora più spesso, nei salotti televisivi, i colpevoli sono raccontati come dei mostri.
Negli ultimi giorni, quindi, ho riflettuto molto su come l‘uso delle parole non descrive le realtà, ma le crea.
Non è una tragedia
Se vi dicessi: «è successa una tragedia», a cosa pensate? Il termine tragedia ha in sé una dimensione di eccezionalità, di unicità dell’evento, ma lo stupro, il femminicidio non lo sono!
Essi sono gli estremi frutti di un albero marcio alla radice: il patriarcato. Sono il frutto di una mancata educazione sessuale, sentimentale, di un sistema che insegna ai ragazzi “a farsele” perché li rende “veri uomini”.
Si, proprio lui, il patriarcato quello che rende muto il sistema scolastico su tutto ciò che riguarda la sfera sessuale, come se fosse un tabù. Ma se nessuno insegna ai bambini e alle bambine il valore del consenso, di un rapporto paritario, del sesso come fonte di piacere condiviso, libero e rispettoso dell’altra persona, cosa succede?
Cosa accade se le istituzioni che dovrebbero insegnarci ad “essere” tacciono? Spoiler: il contatto con la sfera sessuale avviene ugualmente, così come il contatto con l’altro. Ma il problema è enorme, nessuno mi ha educato, o meglio, tutto ciò che so, lo ho appreso in maniera distorta, spesso frammentaria, l’ho appresso da quella stessa cultura che mi grida: “se te la porti a letto, hai vinto”.
Portando avanti questa riflessione, si vuole andare a deresponsabilizzare i colpevoli? No, la violenza resta violenza, così come il femminicidio, ma non è una vicenda eccezionale, relegata al singolo, è sistematica e dobbiamo trattarla come tale. Perché? Per non rischiare di banalizzarla e sottovalutarla.
È necessario trattare il fenomeno come se ci trovassimo di fronte al mare, alla nostra destra abbiamo del petrolio e alla nostra sinistra acqua pulita. Una volta presa la nostra scelta non si può più tornare indietro perché la sostanza che noi versiamo in mare diventerà il mare stesso. L’unica cosa da fare è agire alla radice: versare altra acqua pulita. Noi in società dobbiamo agire alla radice: l’educazione. Se ad un bambino o ad una bambina insegniamo ad abbracciare, ci abbraccerà, se insegniamo a dare uno schiaffo, farà lo stesso.
Non sono mostri, sono esseri umani
A principio dell’articolo ho accennato un altro “vizio” dell’informazione: definire i colpevoli dei mostri, dei malati.
Questo aspetto si lega in maniera indissolubile a ciò che ho affermato in precedenza.
Non dobbiamo intraprendere la caccia al mostro, né al malato di turno. È il sistema ad essere malato e gli individui ci sguazzano, non con l’istinto che appartiene ad un mostro (anche questo termine ci cala in una dimensione di eccezionalità con un tocco fantasy), ma come esseri umani che, per tale motivo, sono dotati di razionalità.
Si utilizzano, spesso, determinati termini per allontanare la realtà da noi, essa viene descritta come un ambiente eccezionale abitato da esseri mitologici cattivi. Ma la questione è proprio questa: la violenza, lo stupro, il femminicidio sono umani, fin troppo. Essi fanno parte della cultura in cui viviamo, anzi ne sono il risultato “perfetto”. Sono più vicini, molto di più, rispetto a quanto, spesso, conviene farci credere. Abbiamo il dovere, per tale motivo, di trattare queste vicende con la razionalità necessaria per comprendere che non sono altro da noi, ma ci appartengano e ci toccano più di quanto siamo abituati a pensare.